Lo scorso anno il presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi ha rischiato seriamente la santificazione.
Molti commentatori, da Eugenio Scalfari a Toni Negri, hanno contribuito a questo tentativo di elevazione alla gloria degli altari, sciogliendo laudi ai “quantitative easing”, cioè agli acquisti di titoli di Stato e di titoli bancari da parte della BCE. Ciononostante il mito di Draghi continua a perdere colpi. Anche se i supporter di Draghi incalzano gli scettici mettendoli in guardia contro i nefasti demoni del nazionalismo e del “sovranismo”, si fa strada l’idea che nazionalismo e “sovranismo” non c’entrino proprio nulla e che si tratti semplicemente di buonsenso.
Il sospetto che Draghi ci stia prendendo per i fondelli è infatti basato sulla constatazione delle sue contraddizioni. Da un lato Draghi rivendica di aver fatto la propria parte per evitare la stagnazione dell’economia e dei prezzi, dall’altro lato egli persiste ad “invitare” i governi europei a fare le “riforme”, cioè provvedimenti che vanno inevitabilmente proprio nel senso della stagnazione e della deflazione. Ma le riforme non sono già state fatte? Sì, ma erano quelle riforme lì, ed invece bisogna ancora fare quelle riforme là. Le riforme non finiscono mai.
Negli ultimi tempi le critiche nei confronti del sistema euro hanno acquistato in lucidità, ed alcuni dei commentatori più incisivi non considerano più il problema euro in termini europei ma “atlantici”. Che l’euro si regga ormai esclusivamente per volere della NATO, cioè degli USA, è un’evidenza che comincia a fare proseliti. La conseguenza è che i critici dell’euro sperano che le alte sfere del potere USA prendano a considerare l’ipotesi che i costi per loro del sistema euro rischino di diventare troppo alti, e quindi si consenta uno svincolo non traumatico dalla disciplina monetaria europea.
In realtà, visto che l’euro viene fatto sopravvivere per compattare in funzione anti-russa quei Paesi europei che avrebbero il maggiore interesse ad un organico partenariato commerciale con la Russia, è proprio al fronte russo che occorre guardare per capire le prospettive.
Se la stagnazione economica causata dall’euro dovesse far cadere ulteriormente i prezzi del petrolio, il potere di corruzione di Gazprom sarebbe ulteriormente ridimensionato, quindi si farebbe concreta l’ipotesi di un colpo di Stato da parte di quei militari russi ormai stanchi delle mezze misure di Putin (sì, mando le truppe in Siria, ma ora le ritiro, ecc.). Se la minaccia di un colpo di Stato militare in Russia prendesse corpo, forse allora, e solo allora, si vedrebbe qualche cedimento anche nell’oligarchia USA, poiché la Russia non può essere sconfitta attraverso uno scontro militare diretto ma solo con l’erosione e l’accerchiamento. Sino ad allora non c’è da aspettarsi sussulti di compassione da parte statunitense; semmai il contrario.
Forse è prematuro stabilire correlazioni tra la cronica stagnazione europea e gli attentati di Parigi e, da ultimo, di Bruxelles di martedì scorso. Sta di fatto che sarebbe impossibile gestire una lunga stagnazione e la manomissione dei conti correnti dei risparmiatori senza una militarizzazione del territorio e senza una criminalizzazione preventiva degli oppositori dell’Unione Europea, dato che, secondo la fiaba ufficiale, solo il processo di unificazione europea potrebbe contrastare il terrorismo.
L’islamofobia ed il razzismo costituiscono inoltre degli efficaci “richiami della foresta” in grado di rimettere in riga quelle formazioni di destra, come la Lega Nord, che in questi mesi si erano impegnate in una informazione economica piuttosto puntuale sulle truffe del “bail in” e del “quantitative easing”. Anche la spina nel fianco dell’informazione anti-ufficiale su internet potrà essere rimossa grazie all’altra fiaba oggi in voga, quella sugli adolescenti che si convertono all’Islam in versione ISIS/Daesh sul web.
A conferma che il terrorismo a qualcosa serve, e servirà, negli USA da tre anni si è affermata la dottrina di un ex segretario al Tesoro USA, Larry Summers, che vede all’orizzonte addirittura una “stagnazione secolare”. Parlare di Larry Summers significa fare diretto riferimento alla recente storia russa, poiché egli è l’uomo che, prima da dirigente della Banca Mondiale poi da segretario al Tesoro dell’amministrazione Clinton, gestì insieme con il presidente russo Eltsin la transizione dal socialismo reale al capitalismo.
Le misure “economiche” di Summers assunsero i connotati del genocidio, causando in Russia il crollo della vita media e della natalità. Milioni di russi sono morti precocemente, o non sono nati affatto, a causa di Summers. Quando Summers parla di stagnazioni secolari si vede che se ne intende, poiché ha dimostrato sul campo di essere bravo a produrre miseria; tanto più che egli è il tipico uomo-ovunque: Harvard, Goldman Sachs, Banca Mondiale, segretario al Tesoro, oggi a capo del National Economic Council nell’amministrazione Obama.
L’ipotesi della stagnazione secolare, anche se non celebrata esplicitamente a causa dei suoi esiti spaventosi, viene però presentata in termini così vivaci da farla sembrare proprio un desiderio più che un timore da parte dell’oligarchia USA.
La stagnazione sta infatti indebolendo sempre più il lavoro, sta rallentando l’economia cinese e degli altri “BRICS”, e sta accelerando i processi di concentrazione della ricchezza nelle mani delle multinazionali occidentali.
Forse la “crisi” non è poi così male per tutti, e perciò si spiega l’intenzione di farla proseguire il più possibile.
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